Hezbollah e i cercapersone che esplodono, l'irriducibile materialità della guerra
Nessun attacco hacker. Ma la riaffermazione di una realtà cinetica. Di odore di tritolo e cherosene che ridimensiona alcune nostre allucinazioni digitali
C’è una cosa che mi ha impressionato più di altre nello spettacolare attacco di Israele agli esponenti libanesi di Hezbollah: l’inesauribile realtà materiale della guerra. Tutte le guerre lo sono. Tutte le guerre portano sangue e distruzione.
Quando si è saputo dell’attacco, dell’esplosione simultanea di migliaia di cercapersone a Beirut, i primi flash di agenzia, i primi titoli di giornali, parlavano di attacco hacker. Di buco nella sicurezza informatica, di software capaci di far surriscaldare e esplodere le batterie al litio.
Non c’erano molte evidenze a raccontarlo. Piuttosto, credo, una convinzione diffusa in molti media. Che il digitale può fare cose che altrimenti sarebbe impensabile fare. Una scatola magica degli attrezzi capace di fare cose impossibili.
Poi si è scoperto che non c’è software, non c’è litio, non c’è nulla. Solo tritolo e un impulso elettrico. Lavoro da Intelligence e trame ordite sul campo. Società inventate, ordini dirottati, dispositivi creati sottobanco. Una roba da Novecento. Solo 24 ore dopo si è cominciato a percepire la realtà delle cose. Una realtà materiale. Fatta di guerra vera. Di scenari da film. Di guerra cinetica.
La stessa cosa è successa poco dopo lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina. Per mesi si è cercato di raccontare una guerra parallela. Gli hacker, etici o meno, Anonymous. Ricordate? Sembrava che la guerra informatica fosse un piano di combattimento parallelo e ugualmente efficace del conflitto sul campo. Solo che lì, poco dopo, si è smesso di parlare di attacchi informatici. Il rumore dei cingolati, l’odore del cherosene bruciato dai mezzi militari e le migliaia di colpi di mortaio, i milioni di feriti, di morti, hanno preso il sopravvento. Era una guerra come le altre. Una guerra secolo breve non ancora finito. Erano scene da conflitto classico, sono le scene che ora ci rimangono.
Spesso ho l’impressione che diamo al mondo digitale più importanza di quella che ha davvero nella nostra vita. Un pregiudizio che non coinvolge solo i giornali, ma la nostra percezione del mondo.
Certo fa parte delle nostre vite. Ha cambiato il modo in cui lavoriamo. Vediamo il mondo. Ci rapportiamo a noi stessi, alla nostra immagine. Agli altri, alla loro immagine. Ci fa immaginare il futuro, ci fa temere la vittoria del software sull’uomo e sugli stati e sperare in qualche caso che questo avvenga.
Ma poi, ho come l’impressione, il mondo sta da un’altra parte. E quando ci sono le cose urgenti, quelle davvero importanti bussa. E tutto viene ridimensionato. Ricondotto a una dimensione umana, reale, che sa di cherosene o latte. E ingrandito, nello stesso tempo, di urgenza, importanza e potenza.